23 Febbraio 2022

Responsabile
Flavio Sciuccati
Le 10 sfide per l’industria del Fashion & Luxury

La Milano Fashion Week, è un momento apicale per i brand del Made in Italy, e si inserisce in un fitto calendario di kermesse mondiali, in formato phygital o interamente digitale. Mentre l’attenzione del pubblico viene rapita dalle passerelle create per l’occasione dai direttori creativi, un’immensa e articolata macchina industriale è al lavoro per far sì che tutto proceda senza intoppi.

Questa “macchina” è messa in moto da centinaia di migliaia di persone (solo in Italia), ripartite all’interno di innumerevoli fasi produttive e processi di trasformazione, che gestiscono una varietà di materiali e tecnologie all’avanguardia, coniugando sapienti competenze a metà tra le arti ed i mestieri. Il loro lavoro, invisibile agli osservatori esterni, consente a centinaia (migliaia, se consideriamo il mondo intero) di brand di andare in scena con le proprie collezioni e presentazioni di prodotto nei tempi giusti e con quanto di meglio la loro creatività abbia voluto esprimere per gli operatori del settore ed il mercato intero.

Un processo così complesso e delicato si deve necessariamente confrontare con ostacoli e difficoltà di varia forma e natura, che esistevano ben prima dell’arrivo della pandemia. Gli elementi di criticità che tutte le aziende del fashion si trovano ad affrontare attualmente sono essenzialmente dieci. 

  • Strategia “camaleontica dei Brand” (soprattutto dei grandi)
  • “Retailing” crescente
  • Omni-canalità, digitale e modelli Direct To Consumer
  • Collaborazioni creative
  • Pressione sui costi e mark-up
  • Strategie verticali dei grandi gruppi
  • Poli di Aggregazione
  • Re-shoring e Near-shoring
  • Sostenibilità, Responsabilità Sociale e temi ESG
  • Nuove competenze Digitali

  • 1.Strategia “camaleontica dei Brand” (soprattutto dei grandi)

    In questi anni, non c’è grande brand che non si sia rinnovato, spesso anche mutando la propria pelle, su tutti e tre i fronti strategici della propria offerta/proposta: comunicazione, ingaggio del consumatore e distribuzione. Richiede innovazione e adattabilità continua in tutti i comparti industriali e per tutte le categorie prodotto (prodotti, materiali, processi, tecnologie, ecc.). 


    2. “Retailing” crescente

    Lo spostamento progressivo dalla distribuzione Wholesale al Retail induce, inesorabilmente, l’industria e le sue supply chain a fornire prestazioni di tipo “demand driven” e “event driven” e non più guidate solo o principalmente dai tempi stagionali e dai ritmi di “supply”. Il canale Retail, per sua natura, è un contesto/flusso che va continuamente “animato” con idee, nuove proposte, eventi… Sempre ponendo il Consumatore al centro (tema ovvio ormai per i più).


    3. Omni-canalità, digitale e modelli Direct To Consumer

    Non esiste azienda del settore che, ormai, tra fisico e on line non si cimenti con almeno 4-5 canali diversi (DOS, Multimarca, Franchising, Business Partner, Travel, Outlet, eCommerce…). Le supply chain (a livello sia di sviluppo prodotto che di produzione e logistica) sono quindi fortemente sollecitate a livello di prestazioni di velocità, flessibilità, versatilità, il tutto correlato, evidentemente, alla dimensione di complessità/varietà dei prodotti e dei processi che l’azienda ha deciso di presidiare e gestire.


    4. Collaborazioni creative

    Tutto il mondo del Fashion si è cimentato in questi anni in progetti e processi creativi congiunti (tra progetti strutturati o lanci isolati) e i più attenti e bravi lo faranno in misura sempre maggiore, dato che gli studi dimostrano come il “ciclo creativo” abbia una sua durata fisiologica di seguito e di attenzione e debba essere continuamente rilanciato e animato. Le esistenti supply chain, che per loro natura sono strutturate per cercare di essere stabili e catturare economie di scala, sono in difficoltà nella gestione di questi progetti e devono letteralmente reinventarsi, su scala più piccola, relativamente a nuove tipologie di prodotti e con “time to market” sempre più rapidi.


    5. Pressione sui costi e mark-up

    Da sempre, la parte “upstream” del settore (l’industria e le sue numerose filiere produttive) e la parte “downstream” (i brand e la loro distribuzione) sono in aperta discussione per la forte pressione sui costi dei materiali e dei prodotti, che incidono mediamente non più del 15-20 % del prezzo finale al consumatore (e almeno il 40-50% di questa incidenza è dovuta al puro costo di manodopera qualificata). È storia nota nella “catena del valore”, tuttavia è giusto domandarsi da che parte penderà la bilancia (economica) nei prossimi anni, per attuare tutti gli investimenti necessari in tecnologia dei materiali, sostenibilità dei prodotti, tracciabilità delle supply chain, senza dimenticare i costi dell’energia e della transizione energetica. Le aziende a monte potrebbero non essere in grado di assorbire questi ulteriori costi nei loro margini.


    6. Strategie verticali dei grandi gruppi

    A seguito di alcune delle sfide indicate sopra, ma spesso anche per una propria lucida strategia industriale (vedi Hermes, Chanel, Gucci e altri brand di Kering, Louis Vuitton e altri brand di LVMH, Ermenegildo Zegna e altri ancora), praticamente tutti i grandi gruppi del settore stanno portando avanti scelte di maggiore verticalizzazione industriale e di “insourcing” (o scelte di tipo “Make”) acquisendo e investendo in eccellenze del settore manifatturiero in tutte le categorie – Ready to Wear, Accessori, Gioielli – specialmente in Italia e in particolare nei molteplici distretti industriali che caratterizzano il nostro Paese.


    7. Poli di Aggregazione

    La risposta (reazione) inevitabile al punto sopra, ma anche strategicamente la visione più corretta, degli imprenditori illuminati del comparto manifatturiero è stata quella di lanciare in questi anni progetti di “aggregazione”: la ricerca di una complementarità nel proprio sistema di offerta, una maggiore dimensione e quindi maggiori sinergie ed economie, che richiedono anche sistemi di governance semplici, efficaci e trasparenti. Non va dimenticato che, in questo contesto, altre due dinamiche stanno favorendo questa tendenza: il cambiamento in atto all’interno dell’imprenditoria familiare italiana, che sta progressivamente cambiando e ribilanciando le proprie scelte finanziarie e di “asset allocation”, e l’intervento sempre più importante dei fondi di private equity su questo terreno. In Italia manca ancora all’appello un soggetto capace di gestire queste dinamiche, al pari di realtà come Li & Fung. 


    8. Re-shoring e Near-shoring

    La pandemia ha messo in luce l’inattualità di alcune scelte di delocalizzazione verso l’Est e il Sud del mondo. Stanno nascendo supply chain e network logistici molto più periferici, di prossimità ai mercati e molto integrati con i fornitori locali. Le cause? L’aumento progressivo dei costi, anche nei Paesi cosiddetti “low cost” (tra cui, parte della Cina ma anche l’Est Europa), le recenti interruzioni e ritardi delle supply chain in tutti i settori e, prossimamente, anche la trasparenza che il forte vento della sostenibilità e della responsabilità sociale (sfida successiva di questo elenco) imporranno a tutto il settore.


    9. Sostenibilità, Responsabilità Sociale e temi ESG

    Un settore come quello della moda (abbigliamento e accessori, prima di tutto), che nel suo complesso a livello mondiale consuma più energia dell’intero settore trasporti, che dissipa il 20% circa delle risorse idriche totali e che è responsabile di quasi il 10% delle emissioni globali di CO2, non può che imporsi una svolta definitiva e urgente. L’aspetto, tuttavia, più difficile e per nulla scontato riguarda proprio tutta l’industria e tutte le supply chain (domestiche e globali) del settore e non solo i grandi brand a valle, più a diretto contatto con consumatori sempre più consapevoli. Il dovere di consegnare alle generazioni che ci succederanno un mondo vivibile, da un punto di vista sia ambientale sia sociale, pone tutte le imprese (grandi e piccole, a valle e a monte) davanti alla necessità, ormai non più rimandabile, di implementare un’economia sostenibile e circolare, trasparente e responsabile


    10. Nuove competenze Digitali

    La trasformazione digitale è una sfida trasversale, riguarda tutti i punti sopra affrontati e coinvolge l’’intero business del Fashion & Luxury. Va osservato, tuttavia, che se da un lato i mondi più creativi e commerciali del settore hanno visto una crescita molto importante di ruoli digitali e di talenti in questi ultimi anni, altrettanto non si può dire dei mondi industriali dove si rileva un “deficit” di talenti e di ricambio generazionale. Eppure, l’industria del settore avrà sempre più bisogno di figure competenti in 3D e Web 3.0 per la progettazione digitale di nuovi prodotti (e questo era già vero prima che arrivasse il Metaverso), di nuove professionalità (ad esempio, il data scientist) in grado di usare strumenti di intelligenza artificiale per fare previsioni e pianificare risorse, e ancora di esperti di digitalizzazione dei processi e di soluzioni di “blockchain” e così via. È evidente, però, come questo punto richieda anche un lavoro efficace sull’attrattività del settore in Italia, rispetto ad altri settori tecnologici considerati più sfidanti, e sia determinante per attrarre in misura sempre maggiore giovani talenti nell’industria della Moda e renderla ancora più competitiva nello scenario mondiale.

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